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Joseph Stiglitz – La concentrazione del mercato sta mettendo in pericolo l’economia americana

11 aprile 2019

Spesso si sente dire che il modello neoliberista che aveva esteso la propria egemonia come paradigma economico-politico occidentale sia entrato in crisi a partire dal 2008.  Se questo è sicuramente vero, altrettanto dovrebbe essere riconoscere che sotto il termine neoliberismo si concentrano aspetti spesso contrastanti e in tensione tra loro. L’esempio forse più marcato, analizzato anche da Colin Crouch nel suo “Can neoliberalism be saved from itself?[1] è dato dalla tensione esistente tra neoliberismo di mercato neoliberismo corporativo.

Entrambe le tipologie di neoliberismo tendono ad avversare l’interventismo statale, tuttavia in modo alquanto differente:  mentre il primo concentra una certa enfasi sull’efficienza del mercato e sull’importanza relativa agli aspetti della libera concorrenza; il secondo tende invece a porre l’accento sull’importanza che il privato svolge nel processo di crescita economica e dunque come anche aspetti di forte espansione di certi settori e corporation private produca effetti positivi all’intera società.

Tuttavia, una analisi attenta di ciò che è avvenuto in questi due decenni porta abbastanza presto a cogliere come queste due forme di neoliberismo siano in tensione tra loro. Tra i tanti esempi che si potrebbero citare potremmo pensare ai due seguenti interrogativi:

  • L’effetto della liberalizzazione del mercato di un determinato settore può creare nel medio periodo una concentrazione di potere nelle mani di pochi agenti economici privati (corporation), i quali possono accumulare oltre che un forte potere economico da permettere loro posizioni di rendita, anche un potere di influenza politica con attività di lobbying che possano indurre i policymaker a promuovere interventi legislativi atti a creare barriere all’entrata e favorire la loro posizione monopolistica o oligopolistica. Non è questo fenomeno forse in forte contrasto con i concetti basilari del neoliberismo di mercato?
  • L’effetto della liberalizzazione del mercato dei capitali, e il connesso aumento dell’attività finanziaria degli ultimi decenni, ha portato al fenomeno del cosiddetto buyback[2], ovvero il riacquisto di azioni proprie da parte delle corporation, il quale viene stimato aver superato la quota di mille miliardi di dollari nel 2017. Non è forse tale fenomeno distorsivo e dannoso, con conseguente pericolo di bolle e di utilizzo degli utili aziendali per meri motivi speculativi piuttosto che per il reinvestimento in attività davvero utili per la crescita e lo sviluppo economico?

Queste due semplici domande rappresentano solo la punta dell’iceberg delle innumerevoli contraddizioni esistenti tra queste forme di neoliberismo.

D’altro canto, non a caso, anche all’interno del mondo liberale esiste da molti anni una certa discussione a riguardo. Esempi possono essere rappresentati da Maurizio Ferrera e Paul De Grauwe (solo per citarne un paio), i quali da tempo insistono sui pericoli insisti in un neoliberismo che tenga poco conto delle tematiche sociali.

In questo articolo Joseph Stiglitz sembra fare una certa concessione alla forma di neoliberismo di mercato, ricordando che alcune deformazioni del neoliberismo corporativo possono essere vinte proprio con alcune regole che migliorino la concorrenza e l’efficienza tanto care ai neoliberisti di mercato. Ma questi ultimi tornino a ricordare, prima che sia troppo tardi, che non esiste sistema liberale e forma di democrazia rappresentativa che non sia sostenuta da un forte pilastro sociale per la tutela dei ceti medi-popolari. Il prezzo da pagare potrebbe essere molto, molto alto.

Giorgio Laguzzi

Market Concentration Is Threatening the US Economy

Mar 11, 2019 JOSEPH E. STIGLITZ

Rising inequality and slow growth are widely recognized as key factors behind the spread of public discontent in advanced economies, particularly in the United States. But these problems are themselves symptoms of an underlying malady that the US political system may be unable to address.

NEW YORK – Le economie avanzate del mondo soffrono di una serie di problemi ben sedimentati. Negli Stati Uniti, in particolare, la disuguaglianza è al massimo dal 1928 e la crescita del PIL rimane miseramente tiepida rispetto ai decenni successivi alla seconda guerra mondiale.

Dopo aver promesso una crescita annuale del “4, 5, e persino del 6%“, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i suoi estensori repubblicani del Congresso hanno esclusivamente prodotto un deficit senza precedenti. Secondo le ultime proiezioni dell’ufficio del bilancio del Congresso (CBO), il deficit del bilancio federale raggiungerà i  900 miliardi di $ quest’anno e supererà un 1 trilione di $ ogni anno dopo il 2021. Con il Fondo Monetario Internazionale che prevede una crescita negli USA del 2,5% nel 2019 e dell’1,8% nel 2020, in calo rispetto al 2,9% nel 2018, la pillola zuccherata che produsse l’ultimo aumento del deficit sta già sciogliendosi.

Molti fattori stanno contribuendo al problema della bassa crescita combinata con un’alta diseguaglianza presente nell’economia americana. Trump e la “riforma” fiscale mal concepita dai repubblicani hanno esacerbato le carenze esistenti del sistema fiscale, incanalando ancora incessantemente una quota maggiore di reddito ai più alti fruitori di guadagni. Allo stesso tempo, la globalizzazione continua a essere mal gestita e i mercati finanziari continuano a essere orientati verso l’estrazione di profitti (rent-seeking, nel linguaggio degli i economisti) piuttosto che fornire utili servizi.

Ma un problema ancora più profondo e più fondamentale è la crescente concentrazione del potere di mercato, che consente alle imprese dominanti di sfruttare i loro clienti e spremere i loro dipendenti, il cui potere contrattuale e le loro tutele legali si stanno indebolendo. Amministratori delegati e alti dirigenti stanno estraendo senza tregua salari più alti a spese dei lavoratori e degli investimenti.

Ad esempio, i dirigenti delle società statunitensi si sono assicurati che la maggior parte dei benefici derivanti dal taglio delle tasse andassero ai dividendi e ai riacquisti di azioni (buy back), che complessivamente superò il record di 1,1 trilioni di $ nel 2018. I riacquisti hanno aumentato i prezzi delle azioni e fatto lievitare il rapporto guadagno per ogni azione, dato su cui si basa il compenso di molti dirigenti. Nel frattempo, al 13,7% del PIL, gli investimenti annuali sono rimasti deboli, mentre molti schemi pensionistici aziendali sono stati sotto-finanziati.

La prova del crescente potere di mercato si può trovare quasi ovunque ci si volti intorno. I grandi margini di ricarico [sui costi] stanno contribuendo ad alti profitti aziendali. Settore dopo settore, dalle piccole cose come il cibo per gatti alle grandi come le telecomunicazioni, i fornitori di servizi via cavo, le compagnie aeree e le piattaforme tecnologiche, alcune aziende ora dominano il 75-90% del mercato, se non di più; e il problema è ancora più pronunciato a livello dei mercati locali.

Non solo il potere del mercato dei Behemoth aziendali è aumentato, ma è anche incrementata la loro capacità, spinta dal denaro, d’influenzare la politica americana. E poiché il sistema è diventato più truccato a favore degli affari, risulta molto più difficile per i cittadini ordinari cercare un risarcimento per maltrattamenti o abusi. Un perfetto esempio di quanto da me precedentemente espresso è la diffusione delle clausole arbitrali nei contratti di lavoro e negli accordi con gli utenti, che consentono alle società di risolvere le controversie con i dipendenti e con i clienti attraverso un mediatore “ben disposto”, piuttosto che in tribunale.

Molteplici forze stanno guidando l’aumento del potere di mercato. Una di queste riguarda la crescita di settori con grandi sviluppi di rete, in cui una singola azienda, come Google o Facebook, può facilmente dominare. Un’altra riguarda il prevalente atteggiamento che si riscontra tra i leader aziendali, che sono giunti a presumere che il potere del mercato sia l’unico modo per garantire profitti durevoli. Come ha detto il famoso venture capitalist Peter Thiel, “la competizione è per i perdenti“.

Alcuni leader del mondo degli affari statunitensi hanno mostrato la loro vera ingegnosità nel creare barriere di mercato per prevenire qualsiasi tipo di significativa concorrenza. Costoro sono stati favoriti dal permissivo rafforzamento delle leggi sulla concorrenza esistenti e dal mancato aggiornamento di tali leggi per l’economia del ventunesimo secolo. Di conseguenza, la quota di nuove imprese negli Stati Uniti è in calo.

Niente di tutto ciò fa ben sperare per l’economia americana. L’aumento della disuguaglianza implica una diminuzione della domanda aggregata, poiché coloro che si trovano in cima alla distribuzione della ricchezza tendono a consumare una quota minore del proprio reddito rispetto a quelli con mezzi più modesti.

Inoltre, dal lato dell’offerta, il potere di mercato indebolisce gli incentivi a investire e a innovare. Le imprese sanno che se produrranno di più, dovranno abbassare i loro prezzi. Questo è il motivo per cui gli investimenti rimangono deboli, nonostante i profitti record delle corporation americane e i trilioni di dollari di riserve in liquidità. E poi, perché preoccuparsi di produrre qualcosa di valore quando si può usare il proprio potere politico per estrarre più rendita attraverso lo sfruttamento del mercato? Gli investimenti in “politica” finalizzati a ottenere tasse più basse producono rendimenti molto più elevati rispetto agli stessi reali in impianti e attrezzature.

A peggiorare le cose si aggiunge il basso rapporto tra tasse e PIL americano – appena il 27,1% anche prima del taglio delle imposte di Trump – ciò significa una carenza di denaro per gli investimenti nelle infrastrutture, nell’istruzione, nella sanità e nella ricerca di base necessarie per garantire la crescita futura. Queste sono le misure dal lato dell’offerta che in realtà funzionano da “trickle down” su tutti.

Le politiche per combattere gli squilibri di potere economicamente dannosi sono lineari. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, gli economisti della Scuola di Chicago, partendo dal presupposto che i mercati siano generalmente competitivi, hanno ristretto l’attenzione sulla politica della concorrenza la quale punta esclusivamente sull’efficienza economica, piuttosto che inquadrare preoccupazioni più generali, come il potere e la disuguaglianza. L’ironia è che questa ipotesi è diventata dominante negli ambienti politici solo quando gli economisti cominciavano a rivelarne i difetti. Lo sviluppo della teoria dei giochi e di nuovi modelli d’informazione imperfetta e asimmetrica ha messo a nudo i limiti profondi del modello di competizione.

Il potere della legge deve recuperare. Le pratiche anticoncorrenziali dovrebbero essere illegali, punto. E oltre a questo, ci sono una serie di altri cambiamenti necessari per modernizzare la legislazione antitrust statunitense. Gli americani hanno bisogno d’impiegare la stessa determinazione nel combattere la concorrenza così come le loro società hanno dimostrato nella lotta contro di essa.

La sfida, come sempre, è politica. Ma con le aziende americane che hanno accumulato così tanto potere, c’è motivo di dubitare che il sistema politico americano sia all’altezza del compito per attuare un processo di riforma. Aggiungete a ciò il potere globalizzante delle corporation e l’orgia della deregolamentazione e del capitalismo clientelare sotto Trump, ed è chiaro che [a questo punto] l’Europa dovrà prendere l’iniziativa.

Joseph E. Stiglitz, a Nobel laureate in economics, is University Professor at Columbia University and Chief Economist at the Roosevelt Institute. His latest book, People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent, will be published in April.

https://www.project-syndicate.org/commentary/united-states-economy-rising-market-power-by-joseph-e-stiglitz-2019-03?utm_source=Project+Syndicate+Newsletter&utm_campaign=a3528a5be6-sunday_newsletter_17_3_2019&utm_medium=email&utm_term=0_73bad5b7d8-a3528a5be6-105818865&mc_cid=a3528a5be6&mc_eid=a179e7bf35

[1] https://democraticieriformisti.wordpress.com/2017/10/24/colin-crouch-puo-il-neoliberismo-salvarsi-da-se/

[2] https://democraticieriformisti.wordpress.com/2018/04/06/loriginaria-fonte-della-disuguaglianza-post-moderna-il-buyback-lacquisto-di-azioni-proprie/

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