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Una buona riforma crea certezza del diritto – Il Sole 24 Ore

25 marzo 2012

Sul Sole 24 Ore di oggi, domenica 25 marzo 2012, Guido Tabellini analizza i delicati equilibri della riforma del mercato del lavoro, dello scambio che essa implica tra vari settori del mercato ed evidenzia le evidenti scarse possibilità di emendarla costruttivamente.
Mentre Tabellini, per scongiurare un compromesso al ribasso, ipotizza l’individuazione di un percorso radicalmente alternativo, non si può non aggiungere che l’impossibilità di riformare il mercato del lavoro potrebbe suscitare anche una reazione a catena dei portatori di interessiu già incisi dalle riforme attuate con decreto legge.

Una riforma complessa come quella del mercato del lavoro può avere successo solo se trova un giusto compromesso. Ma un compromesso tra che cosa? In apparenza, tra efficienza ed equità: l’efficienza vorrebbe un mercato del lavoro più flessibile, l’equità impone tutele a scapito dell’efficienza. In realtà, il vero scontro politico è tra l’interesse generale e interessi di parte, ed è tra questi che deve essere trovato un compromesso.
Il problema centrale è riuscire ad aumentare la domanda di lavoro, riducendo al tempo stesso il dualismo esasperato del mercato del lavoro italiano: da una parte gli “insider”, con un lavoro a tempo indeterminato nelle imprese sopra i 15 dipendenti, che godono di una protezione tra le più alte al mondo; dall’altra gli “outsider”, i disoccupati e i lavoratori precari quasi totalmente privi di tutele e di copertura assicurativa. Questo dualismo è sia inefficiente – perché scoraggia la formazione di posti di lavoro stabili e ben remunerati – che iniquo.

La riforma Fornero scambia un po’ più di flessibilità in uscita per i lavoratori a tempo indeterminato, con una forte riduzione della possibilità e convenienza ad offrire lavori precari, e con l’espansione dell’ambito di applicazione degli ammortizzatori sociali. È una riforma coraggiosa, che migliora sia equità che efficienza. Tuttavia, non è detto che questo compromesso sopravviva al dibattito in Parlamento. La ragione è che lo scambio proposto dal Governo giova poco agli interessi di parte che si oppongono alla riforma. Chi difende lo status quo vede solo i danni per gli insider, e non internalizza affatto i benefici per gli outsider.
È quindi grande il rischio che la riforma esca dal Parlamento snaturata o peggiorata, facendo scendere, anziché salire, la domanda di lavoro.
Il nodo centrale è l’articolo 18, e in particolare l’incertezza sui tempi e i costi dei licenziamenti. Questa incertezza è dovuta al ruolo che la legislazione vigente attribuisce alla magistratura. Essa è fonte di gravi inefficienze, perché scoraggia la domanda di lavoro senza arrecare particolari benefici ai lavoratori. Come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, un assetto equo ed efficiente dovrebbe affidarsi ai magistrati esclusivamente per impedire la discriminazione, prevedendo in tutti gli altri casi di licenziamento un indennizzo monetario certo e crescente con l’anzianità di servizio.

La riforma Fornero muove un passo in questa direzione, cercando di circoscrivere il ruolo della magistratura. Non è chiaro tuttavia se ci riesce davvero. Come hanno osservato Tito Boeri e Pietro Garibaldi sulla Repubblica del 21 febbraio, già così vi è il rischio che la riforma di fatto finisca con ampliare anziché restringere i margini di discrezionalità dei magistrati, perché prevede regimi diversi per diverse tipologie di licenziamenti. Questo rischio potrebbe diventare certezza in seguito a interventi peggiorativi del Parlamento. Se ciò avvenisse, lo scambio proposto dalla riforma sarebbe assai poco favorevole agli interessi generali: a fronte di una stretta sui lavori precari e alla conseguente riduzione di domanda per quella tipologia di lavoro, si avrebbe una riformulazione dell’articolo 18 che non cambia quasi nulla.
Se l’approvazione della riforma così com’è fosse davvero impossibile, è meglio prenderne atto e cercare un compromesso alternativo: rinunciamo a rivedere in modo significativo l’articolo 18 per chi oggi ha già un lavoro a tempo indeterminato, ma riscriviamolo in modo più completo ed efficiente per i neo-assunti. I privilegi degli insider, che sono la vera preoccupazione di chi difende lo status quo, non sarebbero scalfiti. E ciò potrebbe ampliare lo spazio politico per disegnare istituzioni più flessibili e moderne per le nuove generazioni, sostituendo l’incertezza del reintegro stabilito dal magistrato con un indennizzo monetario certo per tutti i licenziamenti (salvo che non sia possibile dimostrare la discriminazione).

Concentrare le riforme solo sui nuovi posti di lavoro, rendendole però più incisive, avrebbe costi e benefici. Vi sarebbe il costo di mantenere il dualismo tra insider e outsider, seppure attenuato rispetto alla situazione attuale. Inoltre, chi oggi gode di un impiego protetto sarebbe più riluttante a muoversi verso una nuova occupazione. Tuttavia, questi inconvenienti diventerebbero meno rilevanti con il passare degli anni. Il grande vantaggio sarebbe una maggiore domanda di lavoro. Da un lato le imprese sarebbero più propense a creare nuovi posti di lavoro, perché i neo assunti avrebbero un regime più flessibile e razionale. Dall’altro, mantenere elevata la protezione degli insider contribuirebbe a scoraggiare la distruzione dei posti esistenti – il che non è irrilevante in questa fase di profonda recessione.
Il dualismo del mercato del lavoro italiano non è casuale. Esso riflette l’asimmetria di influenza politica e capacità organizzativa tra insider e outsider. Anche per sfuggire a questa asimmetria, il Governo ha giustamente abbandonato la prassi della concertazione. Ma l’asimmetria di influenza politica si rifletterà in Parlamento, dove la proposta del Governo si scontrerà con i veti degli interessi meglio organizzati. Se questi veti diventeranno insormontabili, sarà meglio cercare un diverso compromesso politico, piuttosto che annacquare ulteriormente le riforme. Non dimentichiamoci che oggi l’interesse generale prioritario è aumentare la domanda di lavoro. È meglio un mercato del lavoro duale ma che crea nuovi posti di lavoro in abbondanza, piuttosto che un assetto in cui il dualismo è tra pochi occupati e una massa di disoccupati.
Via: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-03-25/buona-riforma-crea-certezza-153854.shtml?uuid=AbME9wDF

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